Content marketing o Digital marketing con focus sui contenuti?

Ultimamente è una delle domande che, in DAOContent, ci facciamo più spesso. Lavoriamo da anni con i contenuti, ultimamente lavoriamo con aziende e professionisti e sviluppiamo strategie di content marketing orientate ai risultati.

Ma è proprio quello che facciamo?

Prima di proseguire faccio un breve riepilogo di quello che facciamo.
I servizi di DAOContent sono offerti con tre modalità differenti:

Marketplace

La prima modalità è quella che chiamiamo “Marketplace”.
Questa modalità consiste nel richiedere un numero e una tipologia di contenuti per le proprie strategie di content marketing.
Solitamente i contenuti prodotti dalla community di DAOContent vengono acquisiti dal cliente e pubblicati sulle sue properties digitali (sito web, blog, magazine, etc.).
Questa modalità si avvale dell’esperienza del nostro team e la scelta dei contenuti di qualità è agevolata dall’algoritmo della piattaforma.

Piani Performance

La seconda modalità è quella che chiamiamo “Piani Performance”.
Questa modalità prevede, prima di tutto, la definizione degli obiettivi con il cliente (awareness, generation lead, vendite e-commerce, etc.) e in base agli obiettivi viene definita una strategia digitale orientata alle performance attorno alla produzione dei contenuti.
La produzione dei contenuti è gestita allo stesso modo della modalità Marketplace ma la strategia editoriale è definita maggiormente dal nostro team.
In questo caso i contenuti vengono pubblicati su quello che chiamiamo Digital Hub (web magazine, blog, app mobile, etc.) che risiede su piattaforma DAOContent e che viene personalizzato in base alle esigenze e al look&feel concordate con il cliente
Attorno al Digital Hub vengono poi implementate tutte le attività di digital marketing (social media marketing, sponsored, community DAOContent, etc.) utili per dare visibilità ai contenuti prodotti e per raggiungere il target desiderato.

Piani Branding

La terza modalità è quella che chiamiamo “Piani Branding”.
Questa modalità racchiude le caratteristiche delle prime due (contenuti prodotti dalla community e gestiti tramite algoritmo, strategia di digital marketing, digital hub, etc.) ma è rivolta alle azienda più strutturate e che hanno bisogno di supportare le proprie attività di posizionamento del brand sul digitale.
Questa modalità prevede il coinvolgimento di professionisti del settore della comunicazione, giornalisti, creativi e art director. Le loro competenze e la loro consulenza sono fondamentali per la creazione di un prodotto di altissimo livello.

Quindi, tornando alla domanda “cosa facciamo realmente?”, la risposta è: sicuramente facciamo qualcosa di diverso dal content marketing. Qualcosa di più.

Una definizione potrebbe essere “digital marketing con focus sui contenuti“. Infatti tutte le strategie che proponiamo partono proprio dai contenuti, ma questi contenuti sono accompagnati da una varietà di attività di digital marketing che danno ai contenuti due valori importanti: la qualità e i risultati.

Un altra definizione che mi piace è la seguente: “editoria digitale intelligente al servizio dei brand“. Editoria digitale perché aiutiamo le azienda a diventare editori di se stessi, intelligente perché c’è un algoritmo “intelligente” che migliora i processi e il lavoro, al servizio dei brand perché aiuta le aziende nel posizionamento del proprio brand.

Quindi non solo content marketing, ma qualcosa di più.

A breve, per iniziare ad approfondire queste tematiche, pubblicheremo una breve guida gratuita sul Content Marketing, con alcune riflessioni e alcuni trucchi per impostare una attività di content marketing efficace.

Stay tuned!

Un tramonto a metà

Negli ultimi mesi sono successe tante cose e sono cambiate tante situazioni lavorative attorno a me.

Da anni ormai (quasi 8 anni) mi dedico ad una azienda che ho contribuito a fondare dal nulla, un’azienda che è passata per lo status di “startup innovativa” e che ha lavorato in ambito digitale per sviluppare una piattaforma che potesse risolvere anche una piccola parte dei problemi che affliggono l’editoria digitale e l’informazione.

Anni e anni di ricerca e sviluppo, dove le parole più utilizzate in ufficio e i temi quotidiani erano:

  • qualità dell’informazione e metodo per una informazione di qualità
  • giusta remunerazione dei content producer
  • fake news (già qualche anno prima che le chiamassero così)
  • modelli di business sostenibili per gli editori
  • piattaforme editoriali avanzate
  • contenuti per la promozione del brand di un’azienda (quando la parola content marketing in Italia si sentiva pronunciare giusto da un ristrettissimo gruppo di esperti)
  • blockchain e diritti d’autore
  • algoritmi di analisi dei contenuti

Anni di lavoro in qualche modo sostenuti da pochissimi finanziamenti (ci sarebbe da aprire una sezione a parte per raccontare l’esperienza diretta fatta per cercare finanziamenti e supporti per un progetto simile in Italia) e da tanto impegno e tantissima disponibilità da parte dei ragazzi del team che hanno sopportato le sorti altalenanti di una startup e hanno lavorato anche in condizioni difficili pur di fatturare (anche lavori non esattamente in target con l’obiettivo) e sostenere l’azienda.

Quasi due anni fa avevamo capito che il nostro target non erano gli editori ma le aziende e i brand: le aziende hanno molto budget per il marketing e non hanno la possibilità di prodursi i contenuti in casa nonostante abbiano una grande necessità di produrre contenuti per essere presenti nel “mondo digitale”. Esattamente l’opposto degli editori: poco budget, produzione interna e visibilità già in parte acquisita.

Gli editori a questo punto da clienti sono diventati fornitori. E le aziende i nostri clienti. In mezzo una piattaforma che gestiva le dinamiche di questo “scambio di contenuti e visibilità” ottimizzando le performance. Obiettivo della startup quasi raggiunto:

  • le aziende possono promuoversi in maniera facile con i contenuti ottenendo grandi performance
  • gli editori hanno una possibile nuova linea di business sfruttando la visibilità e la capacità produttiva già in possesso
  • i content producer possono lavorare di più e con una remunerazione migliore rispetto alle piattaforme e alle soluzioni esistenti

Obiettivo QUASI raggiunto appunto, raggiunto in teoria e in parte in pratica. Ma non completamente.

L’azienda aveva bisogno di rifinanziamento e sviluppo commerciale. Nel tempo si sono avvicinati tanti interlocutori, alcuni molto concreti e altri molto vaghi. ma per un motivo o per un altro non si è riusciti a concludere nei tempi giusti l’operazione di rifinanziamento. E le cose hanno iniziato a precipitare.

L’unica soluzione era quella di chiudere l’azienda.

Tra parentesi: anche riguardo alla chiusura/liquidazione/fallimento/trasformazione di un’azienda in Italia potremmo scrivere chilometri di commenti, riflessioni, esperienze, leggi, pareri, etc. Si potrebbe scrivere tutto e il contrario di tutto e andrebbe bene lo stesso. Ma penso che di queste cose ne parlerò prossimamente in questo blog.

Alcuni insegnamenti:

  • alcune decisioni vanno prese subito anche se drastiche
  • l’esecuzione è fondamentale, banale ma è così
  • l’attività per cercare finanziamenti per una startup in Italia è essa stessa una startup
  • il fallimento è un modo per capire cosa NON si deve/può fare… e per imparare

La prossima fase sarà quella di recuperare tutto il buono che si è fatto in questi anni, riunire un po’ le forze e grazie a questa base ripartire con una nuova impresa, che si occupi in maniera specifica di content marketing e di contenuti digitali. In qualche modo siamo “arrivati troppo presto”, infatti solo ora si sta aprendo il mercato italiano del content marketing, ma dall’altra parte l’essere arrivati in anticipo ci permette di essere in questa fase pronti al mercato e molto competenti in materia.

L’azienda, dopo 8 anni di lavoro e dopo ancora un lungo periodo di burocrazia che l’aspetta, chiuderà e questo progetto tramonterà.

Ma sarà solo un tramonto a metà.

 

Exit e opportunità di innovare

E’ da un po’ di tempo che mi confronto con il tema delle “exit” in ambito startup. E’ un tema che, a mio modo di vedere, necessità di una serie di riflessioni. In particolare sul ruolo delle exit nel processo di innovazione delle aziende italiane.

In poco meno di 15 giorni ho ascoltato due interventi molto interessanti che in maniera differente trattavano il tema dell’innovazione

Parto dall’ultimo intervento, quello del Professor Franco Mosconi (docente di Economia Industriale all’Università di Parma) al Meeting Nazionale Federmanager Giovani. Trattando delle tema dell’innovazione nelle aziende italiane medio-grandi sostiene giustamente che le aziende devono compiere un processo diviso in due step:

  1. l’azienda si deve dotare di un management molto attento all’innovazione e all’industria 4.0 (anche se come dicono i dati, in Italia gli imprenditori hanno spesso “difficoltà” a dotarsi di un management a differenza di quello che succede ad esempio in Germania)
  2. l’azienda deve investire molto per spingere sulla formazione, sui processi, sulla ricerca e sviluppo in modo tale che l’innovazione arrivi dall’interno dell’azienda stessa

Il primo intervento invece è stato quello di Mario Mariani, ex AD di Tiscali e partner del fondo United Ventures (fondo che investe in startup ad alta scalabilità), al Convegno “Industry 4.0: Implication for Management” organizzato da AMMISA presso la Scuola Superiore Sant’Anna a Pisa. Parlando del tema delle startup e delle exit ha sostenuto quanto sia importante per una startup pensare ad una exit che non sia però necessariamente quella raccontata dallo storytelling della Silicon Valley, ad esempio una vendita miliardaria o una quotazione in borsa (anche perché la percentuale di casi di questo genere di exit è in diminuzione). A maggior ragione in un tessuto economico come quello italiano fatto per la maggior parte da aziende medie che hanno una forte necessità di innovare.

Moltissime startup creano innovazione, producono valore e generano talenti. Moltissime startup avrebbero bisogno di un partner industriale o di un investimento da parte di una media o grande azienda per supportare la crescita e permettere alla stessa startup di strutturarsi e continuare il processo di innovazione.

Ed è qua che le due tesi a mio modo di vedere si incontrano.

Va benissimo l’innovazione dall’interno dell’azienda ma penso che ci sia bisogno di un dialogo più frequente ed una relazione più stretta tra le aziende italiane e il mondo delle startup e dell’innovazione.

Questo richiede sicuramente la presenza di imprenditori e di manager molto attenti e aperti al confronto. Richiede in generale molta preparazione e competenza. Dall’altra parte ci vuole tanta attenzione nella selezione delle idee, dei progetti e dei team. E, nella fase di accompagnamento alla crescita della startup, si dovrebbe capire quali di queste realtà posso diventare una società quotata in borsa (rarissime) e quali di queste invece possono diventare parte di realtà più grosse portando valore umano, valore economico e valore in fatto di innovazione (tantissime).

Credo che questa possa essere una via per portare il mondo delle startup italiano verso un periodo nuovo e più felice. Un periodo fatto di concretezza e di creazione di valore.

Penso che allo stesso tempo questa via possa aiutare le piccole, medie e grandi aziende a fare innovazione, accompagnando il processo interno di ricerca e sviluppo.

Può essere un rapporto win-win grazie al quale tutti gli attori in gioco posso offrire valore e ottenere valore. Quindi perché non puntare convinti verso questa direzione?

Primi passi

Qualche giorno fa finalmente sono arrivati.

Dopo tanto tempo che li cercavamo finalmente li abbiamo trovati. E siamo anche decisamente molto felici.

Come ho già detto qualche post fa, DAO News è in una fase di “cambio rotta”, sta modificando radicalmente il proprio assetto e, in primo luogo, sta definendo i nuovi prodotti e il nuovo brand.

E dopo averli cercati per tanto tempo, eccoli qua “questi prodotti”. Il primo esperimento ha un obiettivo sfidante: portare performance e lead ad un progetto nato solo il 5 dicembre 2016. Un progetto lanciato da ViaMichelin (Michelin Days) che rende ancora più interessante la sfida.

Come DAO News ci preme in modo particolare dimostrare che performance e informazione di qualità possono sicuramente convivere e che anzi, l’informazione di qualità facilita il raggiungimento di determinati risultati offrendo in più un servizio informativo di valore.

Inoltre le aziende importanti hanno due necessità forti quando si confrontano con il digitale: mantenere alto il posizionamento del proprio brand e allo stesso tempo ottenere risultati di visibilità e generare lead. Con DAO Content riteniamo di aver raggiunto questo equilibrio.

Stiamo lavorando in questa direzione da circa due anni e i vari test effettuati ci mostrano dati molto confortanti. Ma erano “solo test”… E’ come se fino ad ora ci fossimo semplicemente allenati, abbiamo fatto anni di allenamento.

Ora stiamo giocando la partita di campionato e si sente nell’aria questa sana voglia di vincere. Si respira anche un po’ di emozione mista a curiosità. I ragazzi non smettono di guardare gli analytics e di ottimizzare contenuti e piattaforma.

I progetti per questo primo lavoro sono 3:

  • the tasty ways: un webzine digitale che parla di ristoranti stellati e di eccellenze gastronomiche
  • morsi di futuro: un blog che tratta l’innovazione in ambito enogastronomico
  • food & wine stories: un blog che pubblica esperienze e racconti di cibo e vino

Come tutti i bambini che stanno imparando a camminare, i nuovi prodotti hanno bisogno di trovare l’equilibrio, di essere stabili e trovare il passo giusto. Ma le gambe sono già forti e vedo che riescono già a raggiungere l’obiettivo, ad attraversare la stanza, a raggiungere l’utente e a portarlo nel posto desiderato.

Una startup innovativa deve agire proprio così:

  1. definire un prodotto con le specifiche minime
  2. testarlo subito magari con clienti o utenti in un progetto sfidante.

In questo modo si ha subito un progetto in portfolio e si hanno tutte le indicazioni per come migliorare il prodotto ed, eventualmente, implementarlo con altre funzionalità o caratteristiche.

Intanto i ragazzi di DAO News continuano a tenere la mano a questa nuova creatura che sta facendo i suoi primi passi. Tutti i giorni con entusiasmo.

Presto vi racconterò come sarà andata la prima camminata.

Quando “cambiare rotta” fa bene ad una startup

Le startup innovative per definizione navigano in mare di incertezze e di vulnerabilità. Avviare il progetto di una startup presuppone che i founder conoscano alla perfezione l’esigenza o il problema che la loro idea vuole risolvere. Spesso però la stessa consapevolezza e conoscenza non è presente se andiamo a vedere il prodotto o il servizio che la startup deve sviluppare e offrire per risolvere questo problema o rispondere a questa esigenza.

In realtà, per esperienza personale e per le varie startup che ho incontrato in questi anni, i founder sono sicuri che il prodotto o il servizio che hanno pensato è quello giusto, quello che risolverà il problema o risponderà a quella esigenza e che trasformerà la loro startup in una azienda multinazionale.

Ero anche io così, con DaoNews, fino a pochissimo tempo fa. Ero convinto del prodotto e dei servizi che DaoNews andava ad offrire.

Ero convinto del prodotto o del servizio, ma sapevo che c’era qualcosa che non andava, pensandoci ora c’è sempre stato qualcosa poco definito. Se fosse stato il prodotto giusto penso che DaoNews in questo momento avrebbe già avuto una grande accelerazione e crescita. Ma ciò non è avvenuto e questo significa che il prodotto non era quello giusto, o forse non eravamo focalizzati sull’esigenza giusta.

In questi casi, quando il prodotto non è quello che fa spiccare il volo, è necessario che i founder decidano velocemente e con determinazione di cambiare rotta. Nella storia di una startup questo momento si chiama “pivot” e deriva dal linguaggio del basket. Il pivot è un concetto fondamentale dell’approccio Lean Startup elaborato nel 2008 dall’imprenditore Eric Ries. La metodologia Lean Startup prevede lo sviluppo di un “prodotto minimo utilizzabile” che permette alla startup di validare subito il prodotto o il modello di business e verificarne l’esattezza. In caso contrario la startup può velocemente cambiare rotta (pivot) in modo da aggiustare il tiro senza però aver utilizzato tempo e risorse in eccesso.

In DaoNews questi momenti li abbiamo affrontati più volte.

Un po’ di storia di DAO News

La prima versione 2011

L’ecosistema di DAO News era composto da:

  • una piattaforma di blogging per giornalisti e blogger
  • una piattaforma editoriale per gli editori
  • un aggregatore delle notizie prodotte e pubblicate in tutta la piattaforma per i lettori
  • un adserver per gli inserzionisti

La crescita di questo ecosistema risultava molto difficile poiché:

  • gli editori non investivano nella piattaforma tecnologica soprattutto a causa delle difficoltà economiche
  • gli inserzionisti non investivano in un ecosistema nel quale non si era raggiunta la massa critica che invogliasse loro ad investire
  • i blogger e i giornalisti non si iscrivevano poiché avevano pochi sbocchi e poca remunerazione

Il nostro business era basato prevalentemente sulla fornitura della piattaforma editoriale agli editori con un modello molto vicino a quello di una web agency.

La seconda versione 2012-2013

Avevamo capito che uno dei problemi più grossi dell’editoria stava nel modello di business. La pubblicità sul digitale non pagava come quella sul cartaceo. Uno dei motivi era quello che il modello era basato sulle visualizzazioni, più un articolo viene visualizzato e più è remunerativo grazie alla pubblicità.
Questo ovviamente ha portato ad un abbassamento incredibile della qualità degli articoli e delle visite che ha portato ad un abbassamento del valore di ogni visualizzazione che ha portato ad una diffidenza degli inserzionisti e così via. Questo era (ed è tutt’ora) un circolo vizioso che complica il business sul digitale di editori e giornalisti.
L’idea perciò è stata quella di legare la remunerazione della pubblicità alla qualità dell’articolo. Per fare questo andava sviluppato un algoritmo che riuscisse a dare un rating all’articolo. In questi anni abbiamo sviluppato il DAO Rank: un algoritmo che analizza semanticamente, geolocalizza, assegna un punteggio, ad ogni contenuto che passa all’interno dell’ecosistema.

Il nostro business continuava ad essere focalizzato sulla fornitura della piattaforma editoriale agli editori ma con un modello aziendale più vicino ad una “piattaforma”.

La terza versione 2014-2015

Nel 2014 abbiamo inserito un nuovo elemento nell’ecosistema: i brand. I brand intesi come qualsiasi azienda. Durante il lavoro di ricerca e sviluppo abbiamo verificato quanto stesse diventando importante per i brand promuoversi nel mondo digitale grazie ai contenuti di informazione. C’erano i primi segnali di diffusione del content marketing. I siti statici non performavano più come una volta poiché Google preferiva i contenuti freschi e frequenti e i social network, per loro natura, veicolavano maggiormente contenuti di informazione.

Abbiamo deciso allora di iniziare ad “affrontare” i brand proponendo loro il sito+blog+contenuti. Avevamo tutto:

  • piattaforma editoriale
  • automatismo per la creazione di siti
  • network di blogger e giornalisti per la produzione dei contenuti
  • un marketplace in versione embrionale ma già efficiente

Abbiamo lanciato DAO Square a fine 2014 , DAO Square offriva prodotti differenti per brand e per editori.
Per tutto il 2015 abbiamo seguito due ambiti: quello degli editori e quello dei brand.
In quello dei brand abbiamo avuto modo di testare il nostro prodotto, migliorarlo e vederne le reali criticità. Una di queste criticità è stata quella che il prodotto per i brand (per come era pensato e strutturato) andava a posizionarsi in un mercato già molto affollato, quello delle web agency e dei piccoli web developer e ci portava a dover lavorare quasi come una società di consulenza.

La quarta versione 2016

Nel 2016 abbiamo completato ulteriori sviluppi sul marketplace, attualmente il marketplace eroga circa 8 contenuti al giorno a pagamento e 50 contenuti al giorno free, per un totale medio mensile di 1500 contenuti che transitano nell’ecosistema. I numeri sono in netta crescita. E’ sempre più forte la richiesta di pacchetti di soli contenuti, sono prevalentemente editori che vogliono ampliare le tematiche trattate nei propri progetti editoriali e brand che hanno bisogno di rendere più dinamico il proprio sito.
Dall’analisi dei dati però abbiamo realizzato che i contenuti per i brand pubblicati su nostra piattaforma editoriale hanno buonissime performance (ad esempio: i nostri contenuti performano 5 volte una campagna AdWords a parità di budget investito). Queste performance sono dovute ad un mix tra:

  • qualità del contenuto
  • quantità del contenuto
  • efficienza della piattaforma editoriale
  • inserimento nell’ecosistema DAO News

Questi dati, insieme alla visione più “pubblicitaria” del nostro progetto ci ha spinto ad affrontare un ulteriore pivot. Questa volta in maniera radicale.
Abbiamo pensato di:

  • affrontare un rebranding del progetto: il nome DAO News ha un accezione eccessivamente giornalistica e
    che mal si sposa con il mercato del content marketing per i brand.
  • cambiare i prodotti offerti: i prodotti devono essere piattaforme editoriali digitali e strategie di contenuti per
    offrire performance ai brand;
  • mantenere l’anima giornalistica-ediriale-informazione del progetto, il lavoro di ricerca e sviluppo fatto in questi anni porterà i suoi frutti. Il lavoro sulla qualità dell’informazione andrà anche a beneficio delle campagne di content marketing per i brand

E’ grazie a questo lungo percorso che ora nasce DAO Content e che si presenta con il pay-off: “Content that performs“.

Più avanti ci sarà modo di parlare di questa nuova vita di DAO News e di tutti gli sviluppi di DAO Content in maniera molto approfondita. Stay tuned!

L’importanza del team in una startup

In una startup il team è tutto“, “Il successo di una startup è dovuto al team”, “I fondi investono solo su startup con un team forte“, “I founder di una startup devono fare molta attenzione alla costituzione del team”.

Quante volte abbiamo letto o sentito queste frasi? Personalmente tantissime, fin dall’inizio della mia avventura con DaoNews.

Vi confesso che inizialmente avevo sottovalutato l’importanza del team. Avevo pensato e ragionato parecchio sulla composizione del primo team ma le valutazioni erano spesso ingenue e condizionate dallo storytelling di quel periodo che raccontava il mondo fatato ed edulcorato della Silicon Valley.

Non sto dicendo che il team di DaoNews non fosse adatto o vincente, anzi. Il fatto che però lo fosse era dovuto forse più alla fortuna che non alla consapevolezza dell’importanza di un team ben strutturato in una startup.

Dal mio punto di vista (il mio punto di vista di 6 anni fa) il team che stavo andando a comporre era completo. Completo di tutte le professionalità che potevano essere fondamentali per la riuscita del progetto: una esperta in contenuti e piattaforma, uno sviluppatore, una designer, un sistemista, un esperto SEO, un esperto in digital marketing, un “investitore” appassionato di giornalismo e comunicazione, un traduttore in inglese con vocazione per l’aspetto commerciale, una madrelingua francese e me come CTO.

Si è vero, ero ingenuo e forse il team era sì forte ma non completo. Me ne accorsi non troppo tempo dopo, in particolare la prima volta quando due persone del team, per motivi loro, non hanno più potuto seguire il progetto e la seconda quando lo sviluppo dell’attività della startup ci portava a doverci avvalere di professionalità e competenze che non erano comprese nel team iniziale.

La prima riflessione è che inserire nuove persone in un team di una startup è un compito difficilissimo quindi il ragionamento “tutti sono importanti e nessuno è indispensabile” in questo caso vale meno. In una startup gli elementi del team, soprattutto del team originario, sono molto più importanti al limite dell’indispensabile.

La seconda riflessione riguarda il fatto che il team deve essere VERAMENTE completo. Io suddividerei il team in 3 aree:

  • tecnica e di prodotto
  • finanziaria, legale e amministrativa
  • commerciale e marketing

Le tre anime devono essere equilibrate e devono essere presenti e competenti allo stesso modo.

Questo ovviamente semplifica tantissimo la vita ai founder durante tutte le attività di avvio del progetto e allo stesso tempo permette di avere uno “zoccolo duro” affidabile, forte, consapevole ed estremamente coinvolto quando la crescita della startup sarà importante (o anche durante i tempi difficili).

Lista delle riflessioni

Di solito in questo genere di articoli questo è il momento della “lista dei consigli” ma in questo articolo ci sarà solo una “lista delle riflessioni”:

  1. è importante valutare la “cultura imprenditoriale” dei componenti del team, ogni componente deve avere una propensione al rischio ragionato orientato al business e avere la medesima motivazione nel perseguire l’obiettivo nonostante le difficoltà ovvie, frequenti, destabilizzanti
  2. è più importante la motivazione o la competenza? Ovviamente entrambe ma dovendo scegliere io sceglierei la motivazione (partendo dal presupposto che un po’ di competenza ci sia). Se un componente del team è fortemente motivato può colmare in breve tempo il gap di competenze utili allo sviluppo delle attività e del progetto
  3. importantissime sono le esperienze precedenti. Cercare di conoscere a fondo il background dei componenti permette di capire se hanno vissuto situazioni simili o che possono verificarsi anche nel progetto. Questo permetterebbe loro di ripercorrere le stesse soluzioni vincenti o di evitare errori già fatti. Ne beneficerebbe tutto il team e il progetto.
  4. se nel team c’è il fuoriclasse è importantissimo tenerselo stretto. Lavorare perché si creino le condizioni giuste perché il team non si scomponga o perda pezzi. Soprattutto i componenti migliori. In questo caso “prevenire è meglio che curare” quindi è fondamentale anticipare ogni possibile crepa o criticità e fare in modo che tutto il team valuti quanto può portare di positivo la presenza di un componente del team rispetto a quanto può essere complicato cambiarlo.
  5. è meglio far giocare ogni componente nel proprio ruolo. Se un componente ricopre nel piccolo della startup il ruolo che vorrebbe ricoprire in una grande azienda sarà spinto dalla sua ambizione. Ambizione che lo porterà a performare meglio e ad essere più motivato. Il commerciale come direttore commerciale, il project manager come direttore generale, l’economista come CFO, il designer come direttore creativo, lo sviluppatore come CTO e così via…

Per concludere un’ultima riflessione: la “costruzione” del team è un lavoro in divenire, non si smette mai di dover comporre e ricomporre il gruppo. Le esigenze della startup cambiano velocemente, il modello di business pure, la situazione finanziaria anche. Ogni periodo storico della startup porta ad un assetto diverso, ad equilibri di competenze e di professionalità diversi.

Ma avere un team forte e compatto fin dall’inizio rende vere tutte quelle frasi che continueremo a sentirci dire… team e startup di successo…team e finanziatori…team e fondi di investimento….team e scale up… e via e via…