L’intelligenza artificiale salverà la qualità dei contenuti?

Un’analisi realistica tra fact-checking, veridicità e trasparenza

Viviamo in un’epoca dominata dai contenuti digitali. Ogni giorno vengono pubblicati milioni di post, articoli, video, podcast, commenti e approfondimenti, generati da persone, aziende e – sempre più spesso – da intelligenze artificiali. In questo oceano di informazioni, la vera sfida non è più solo creare contenuti, ma garantirne la qualità, l’accuratezza e la veridicità.

Nel mezzo di questo cambiamento epocale, ci chiediamo: l’intelligenza artificiale può diventare uno strumento efficace per migliorare la qualità dei contenuti online? Può contribuire al fact-checking, alla lotta contro la disinformazione e alla trasparenza delle fonti?

In questo articolo analizziamo in modo realistico e critico il potenziale dell’IA in questo campo, distinguendo promesse concrete da hype, con uno sguardo al presente e uno al futuro.


🧠 Il contesto attuale: contenuti ovunque, verità in crisi

La facilità con cui oggi si possono produrre contenuti ha un rovescio della medaglia: la quantità ha superato la qualità. Ecco alcune tendenze ormai sotto gli occhi di tutti:

  • I social network premiano la viralità, non l’accuratezza.

  • Il clickbait è ancora una strategia dominante.

  • La disinformazione – anche involontaria – si diffonde a velocità virale.

  • Le redazioni sono sotto organico e spesso non hanno tempo per il fact-checking.

Nel frattempo, i modelli di intelligenza artificiale come ChatGPT, Gemini o Claude stanno rivoluzionando il modo in cui scriviamo e consumiamo contenuti. Ma possono anche contribuire a verificarli?


🤖 IA e contenuti: da generazione a verifica

L’IA è già molto avanzata nella generazione di contenuti: articoli, email, descrizioni prodotto, persino video deepfake. Ma il prossimo grande passo sarà l’integrazione dell’IA nel controllo della qualità e della veridicità dei contenuti stessi.

Vediamo in che modo.

✅ 1. Fact-checking automatizzato e assistito

Uno dei campi più promettenti è il fact-checking in tempo reale. Grazie ai LLM (Large Language Models) e all’accesso a database aggiornati (Wikipedia, database scientifici, archivi di notizie), l’IA è in grado di:

  • confrontare un’affermazione con decine di fonti in pochi secondi;

  • segnalare incongruenze o dati potenzialmente falsi;

  • suggerire fonti più autorevoli o aggiornate.

Esempi concreti già esistono: strumenti come ClaimReview, Full Fact, o il fact-checking automatico di Google usano modelli IA per suggerire se un’affermazione è vera, falsa o imprecisa. In futuro questi strumenti saranno integrati nei CMS (Content Management System) come WordPress, Substack o Ghost, aiutando i creator a verificare i dati mentre scrivono.


📚 2. Tracciabilità delle fonti e origine dei contenuti

Un altro uso chiave dell’IA sarà quello di tracciare le fonti di un contenuto:

  • identificare la fonte primaria di una notizia, anche se riformulata o decontestualizzata;

  • segnalare se un’informazione proviene da un sito dubbio o una fonte anonima;

  • distinguere tra contenuti originali e rimaneggiamenti sospetti (es. copy-paste da social, manipolazioni ideologiche).

Strumenti IA di “source tracing” aiuteranno a contestualizzare meglio le informazioni, valorizzando le fonti affidabili.


🛡️ 3. Rilevamento di bias e manipolazioni

L’IA può essere addestrata per riconoscere linguaggi distorsivi, espressioni ideologiche estreme, bias cognitivi, omissioni e generalizzazioni pericolose. Ad esempio:

  • titoli costruiti per evocare paura o indignazione;

  • narrazioni unilaterali su temi politici, scientifici o sociali;

  • pattern linguistici associati a propaganda o manipolazione.

Già oggi ci sono strumenti come HateSonar, Perspective API (di Google) e GPT-f (OpenAI) che identificano linguaggi tossici, polarizzanti o imprecisi.


📈 Evoluzione nei prossimi 3-5 anni

Siamo solo all’inizio. Ecco come potremmo vedere evolvere l’IA nei prossimi anni nel campo della qualità dei contenuti.

AreaEvoluzione attesa
Verifica dei fattiIA integrata in piattaforme editoriali, CMS e social per controllo automatico o assistito
Etichettatura contenutiBadge “Verified by AI” o “Fact-checked” visibili nei risultati di ricerca o nei feed social
Educazione dei creatorPlugin e assistenti IA che aiutano gli autori a migliorare accuratezza, chiarezza e struttura
Contenuti istituzionaliMedia, PA, ONG useranno IA per garantire trasparenza e affidabilità
Prevenzione disinformazioneIA che segnala in automatico contenuti manipolati o fuorvianti in tempo reale

⚠️ I limiti dell’intelligenza artificiale nel fact-checking

Non tutto è rose e fiori. L’uso dell’IA nel controllo della verità presenta diversi limiti e rischi.

1. Fonti inaffidabili o incomplete

Se i modelli sono addestrati su dataset che contengono errori, fake news o bias, l’IA può amplificare la disinformazione invece di contrastarla. È il classico problema del “garbage in, garbage out”.

2. Mancanza di trasparenza (black box)

Gli LLM sono spesso opachi: non sempre spiegano perché una determinata affermazione è considerata vera o falsa. Questo è un problema soprattutto in ambiti delicati (medicina, diritto, geopolitica).

3. Dipendenza tecnologica

Affidarsi totalmente all’IA potrebbe portare i creatori di contenuti a disabituarsi al pensiero critico. Il rischio è delegare troppo.

4. Censura algoritmica

Il potere di segnalare o rimuovere contenuti ritenuti “falsi” potrebbe essere abusato da governi autoritari o da aziende con conflitti di interesse. Serve etica, trasparenza e supervisione umana.


🔮 Scenari futuri: tra ottimismo e realismo

🌟 Scenario ottimistico (2027+)

  • Ogni contenuto digitale ha un badge che ne certifica origine, verificabilità, livello di accuratezza.

  • Le piattaforme social bloccano in tempo reale contenuti palesemente falsi, grazie a IA distribuite e aggiornate costantemente.

  • Gli utenti possono visualizzare perché un contenuto è stato considerato fuorviante o errato.

  • I giornalisti usano IA come copiloti nella ricerca delle fonti, nell’analisi di documenti, nella sintesi delle fonti multiple.

🧩 Scenario realistico (2025–2026)

  • Gli strumenti di IA vengono adottati da testate giornalistiche, istituzioni e grandi piattaforme per assistere nella verifica, ma non per decidere da soli.

  • I creator più attenti alla qualità usano strumenti IA come editor semantici intelligenti.

  • L’uso dell’IA per verificare contenuti diventa uno standard professionale nel content marketing, SEO e comunicazione aziendale.


👥 Il ruolo insostituibile dell’umano

L’IA può fare moltissimo, ma non può sostituire il pensiero critico umano. Ecco perché il futuro migliore è quello in cui IA e persone lavorano insieme.

  • L’IA velocizza la raccolta e l’analisi dei dati, ma l’essere umano decide cosa è rilevante.

  • L’IA segnala potenziali errori, ma l’essere umano li contesta, li corregge, li contestualizza.

  • L’IA può aiutare a distinguere il vero dal falso, ma l’essere umano deve decidere cosa è giusto raccontare, e come.


📌 Conclusione

L’intelligenza artificiale sta cambiando radicalmente il modo in cui creiamo, leggiamo e giudichiamo i contenuti. Nei prossimi anni, diventerà uno strumento fondamentale per chi vuole:

  • produrre contenuti verificabili e affidabili;

  • aumentare la credibilità di brand e professionisti;

  • combattere attivamente la disinformazione online.

Tuttavia, l’IA non è infallibile, e il rischio di abusi o automatismi ciechi è reale. La chiave sarà un’integrazione etica e responsabile tra tecnologia e pensiero umano.

Chi saprà padroneggiare questi strumenti, senza delegare tutto alla macchina, sarà protagonista della nuova era dell’informazione.


Perché l’azienda deve diventare Media Owner

Mi ricordo che già verso la fine del 2013, in DAONews parlavamo di contenuti di informazione al servizio delle aziende. In quel periodo eravamo a Cagliari, ospitati all’interno dell’incubatore di aziende e startup The Net Value.

Lavoravamo tanto con gli editori, i giornalisti e i blogger e avevamo davanti l’evidenza che i siti che facevano più visite erano quelli editoriali mentre quelli istituzionali delle aziende avevano problemi di visibilità.

Allo stesso tempo, l’advertising digitale non portava più i risultati di qualche mese prima, i banner nei siti erano troppo invasivi e i social network avevano fame di contenuti generati dagli utenti, prevalentemente di contenuti di informazione.

Già da allora iniziammo a proporre alle aziende un servizio di content marketing, era forse prematuro, però ci ha permesso di fare tanta esperienza e tanta ricerca e sviluppo.

Penso però che alle soglie del 2019 le aziende non possono più prescindere da una giusta strategia editoriale digitale e di content marketing. Le aziende hanno la necessità di prendere possesso direttamente dell’informazione relativa a se stesse e al proprio settore, diventando esse stesse influencer e fonti autorevoli.

Il nuovo ruolo dei clienti: i consum-attori/la sharing economy

come si muovono i clienti-utenti nel mondo digitale? in due maniere:
  1. conoscono già il brand (ad esempio “Nike”) e vanno direttamente sul sito o sulla app dell’azienda per trovare informazioni sul prodotto e/o sull’azienda;
  2. non conoscono il brand ma vogliono avere qualche info a riguardo, ad esempio: “quali sono le scarpe da basket usate da Michael Jordan?”
Gli utenti del secondo gruppo faranno una ricerca sui motori di ricerca e troveranno risultati che rispondono alla loro domanda, o intercettano queste info sui social network. Gli stessi utenti, dopo aver trovato la risposta, condivideranno questo contenuto con la propria comunità attraverso i social e su altre piattaforme digitali come whatsapp o messenger per informare/allertare.

Il prodotto media

Un’azienda oggi deve avere una identità digitale che le permetta di essere conosciuta e condivisa. 
Avere un’identità digitale non è solo avere un sito internet o un e-commerce
Avere un’identità digitale significa essere digitalmente produttivi, avere  valori da condividere, intrattenere rapporti con la propria clientela e soprattuto creare contenuti per promuovere i propri valori.
 
L’azienda oggi ha l’incredibile opportunità di produrre in completa autonomia e secondo i propri valori contenuti digitali di alta qualità  che siano in grado di rispondere alle “domande degli utenti”, per aiutarli nel completare la loro formazione/informazione durante la loro esperienza di acquisto evitando di cadere vittima delle fake news. 
 
L’azienda grazie a questa attività di produzione di contenuti controllare in modo diretto la propria immagine, rendendosi autonoma dalle logiche del mondo tradizionale dei media e degli editori, con DAOContent l’azienda  diventa essa stessa un media un influencer, una fonte credibile, affidabile e riconosciuta.

La delivery  

Come lo facciamo? Attraverso la creazione di progetti editoriali ad hoc e in esclusiva con un servizio “chiavi in mano” che comprende:
  1. magazine digitale e app mobile
  2. produzione e pubblicazione di contenuti di altissima qualità con grandissima frequenza
  3. diffusione e viralizzazione degli stessi contenuti su social network (i social network sono la fonte di visibilità dalla quale attirare utenti verso il proprio progetto editoriale)
  4. strategia avanzata di digital marketing
  5. eventi, iniziative speciali, accordi con altri media etc..

Quali sono i vantaggi immediati per l’azienda? 

Migliorare il posizionamento del brand.
Esempio concreto  CheFuturo per CheBanca, associare il brand di CheBanca ai contenuti di alta qualità e come tematica principale “il digitale e l’innovazione” permettevano a CheBanca di essere percepita dagli utenti come una banca digitale e innovativa;
Migliori performance digitali
I siti e le app editoriali sono tra i siti più visitati e le app più longeve.
Grazie alla piattaforma, ai contenuti e a tutto il servizio possiamo garantire risultati concreti in fatto di visibilità, conversioni, engagement, lead etc.
Arriveranno al sito dell’azienda utenti che avevano l’intenzione di sapere qualcosa di più riguardo alle tematiche proposte dall’azienda nel progetto editoriale (marketing dell’intenzione)

Contenuti e qualità

Ieri, prima di andare a lavoro, facevo come al solito un giro tra le notizie fresche di mattinata e mi sono imbattuto in un articolo del Corriere (Chi sono i leader (politici) sul web: “Post brutali? La gente vuole quelli”) che mi ha portato a ripensare alla situazione dei contenuti sui social media e sull’informazione.

Lascio volutamente da parte l’aspetto “politico” di questo articolo e voglio concentrarmi esclusivamente sull’aspetto più “tecnico” relativo alle dinamiche dell’informazione digitale. Penso infatti che in questo articolo ci siano tutti gli elementi, materializzati e mostrati con esempi reali, della situazione dell’informazione in Italia in questo momento:

  • le cause
  • lo stato delle cose
  • le conseguenze

LE CAUSE

«Meno scrivi e più cammini. L’algoritmo di Facebook, quello che fa viaggiare i contenuti, è ignoto e anche abbastanza ignorante».

Facebook (ma anche le altre piattaforme e social network) ha un algoritmo che effettivamente nessuno conosce realmente, ma dai risultati che alcuni post ottengono si può facilmente dedurre che questa frase è esatta: i contenuti brevi e di impatto girano meglio e non importa realmente la sostanza del contenuto che viene veicolato. L’obiettivo di qualsiasi piattaforma è di catturare l’attenzione dell’utente trattenendolo il più possibile all’interno del proprio mondo (app o sito web che sia), e lo fa offrendo all’utente quello che l’utente si aspetta di ricevere, evidenziando contenuti “vicini” al pensiero e al sentimento dell’utente stesso.

LO STATO DELLE COSE

Il mese scorso questo ex capocantiere […] ha generato quasi un milione e mezzo di interazioni su Facebook.

In un solo mese il numero di interazioni su Facebook generato dalle pagine politiche «unofficial» ha raggiunto livelli paragonabili a quelli dei media tradizionali e ha superato di netto le pagine «official»

Le pagine “non ufficiali”, ma più in generale le pagine popolate da contenuti generati dagli utenti, hanno ormai acquistato terreno per quanto riguarda le performance e la visibilità. Editori e pagine ufficiali in tanti casi non riescono a tenere il passo lasciando spazio a contenuti spesso non verificati e magari di dubbia qualità.

No, non è militanza per Gangemi. È sopravvivenza. Un click vale in media dieci centesimi.

In questa frase è riassunta, secondo me, una parte consistente della causa di tutto: il modello di business dell’informazione digitale continua ad essere basato sulla pubblicità. Il “click” è l’obiettivo ultimo sia degli utenti che producono contenuti sia degli editori.

LE CONSEGUENZE

Gli editori, i giornalisti, le fonti autorevoli hanno impostato tecnologia e linee editoriali per raggiungere obiettivi dettati dall’adv basati sui click o sulle impression. Questo favorendo ovviamente la produzione di contenuti di una qualità molto vicina a quella dei contenuti prodotti dagli utenti e dalle pagine “unofficial”.

Lui sa che seguendo le correnti le si rendono inondazioni, ma anche che le maree possono rovesciarsi. «L’altro giorno ho scritto sul governo: basta parole, ora i fatti. Ho notato che hanno condiviso in tremila. Riproverò».

Una ulteriore conseguenza è una crescente polarizzazione delle opinioni, la selezione dei contenuti da leggere da parte degli utenti avviene tramite il “pregiudizio di conferma”, che porta principalmente le persone a ricercare nelle notizie una conferma alla propria opinione e non la verità sui fatti.

E, come scritto nell’articolo, le maree possono rovesciarsi e di conseguenza opinione comune e contenuti che la sostengono possono improvvisamente cambiare direzione e puntare verso altri sentimenti e altre opportunità di click e impression.

Il dibattito su qualità di contenuti, fake news, post verità, user generated content, verifica delle fonti è ormai da anni presente in tutti i tavoli e occasioni di incontro, di ragionamento, studio, analisi. Sia i big (ad esempio Google) che molte startup stanno lavorando per trovare una soluzione a questi problemi.

A mio parere focalizzarsi su alcuni punti porterebbe benefici in tempi brevi:

  • distinguere i contenuti in base alla qualità
  • definire la qualità del contenuto in base alla verifica del contenuto
  • la verifica del contenuto deve essere basata su un metodo che tenga conto, ad esempio, della verifica delle fonti
  • valorizzare, anche in senso monetario, i contenuti caratterizzati da quella qualità definita dal metodo

E’ quello che facciamo in DAOContent. I contenuti che vengono prodotti per le aziende e i brand hanno queste caratteristiche. Il motivo reale è supportare la credibilità del brand con contenuti veri e di qualità, valorizzandoli al meglio e avendo, come ricompensa, performance e visibilità per l’azienda.

Riteniamo che anche questo che facciamo sia parte, sicuramente una piccola parte, della soluzione per l’informazione di qualità.

 

Un tramonto a metà

Negli ultimi mesi sono successe tante cose e sono cambiate tante situazioni lavorative attorno a me.

Da anni ormai (quasi 8 anni) mi dedico ad una azienda che ho contribuito a fondare dal nulla, un’azienda che è passata per lo status di “startup innovativa” e che ha lavorato in ambito digitale per sviluppare una piattaforma che potesse risolvere anche una piccola parte dei problemi che affliggono l’editoria digitale e l’informazione.

Anni e anni di ricerca e sviluppo, dove le parole più utilizzate in ufficio e i temi quotidiani erano:

  • qualità dell’informazione e metodo per una informazione di qualità
  • giusta remunerazione dei content producer
  • fake news (già qualche anno prima che le chiamassero così)
  • modelli di business sostenibili per gli editori
  • piattaforme editoriali avanzate
  • contenuti per la promozione del brand di un’azienda (quando la parola content marketing in Italia si sentiva pronunciare giusto da un ristrettissimo gruppo di esperti)
  • blockchain e diritti d’autore
  • algoritmi di analisi dei contenuti

Anni di lavoro in qualche modo sostenuti da pochissimi finanziamenti (ci sarebbe da aprire una sezione a parte per raccontare l’esperienza diretta fatta per cercare finanziamenti e supporti per un progetto simile in Italia) e da tanto impegno e tantissima disponibilità da parte dei ragazzi del team che hanno sopportato le sorti altalenanti di una startup e hanno lavorato anche in condizioni difficili pur di fatturare (anche lavori non esattamente in target con l’obiettivo) e sostenere l’azienda.

Quasi due anni fa avevamo capito che il nostro target non erano gli editori ma le aziende e i brand: le aziende hanno molto budget per il marketing e non hanno la possibilità di prodursi i contenuti in casa nonostante abbiano una grande necessità di produrre contenuti per essere presenti nel “mondo digitale”. Esattamente l’opposto degli editori: poco budget, produzione interna e visibilità già in parte acquisita.

Gli editori a questo punto da clienti sono diventati fornitori. E le aziende i nostri clienti. In mezzo una piattaforma che gestiva le dinamiche di questo “scambio di contenuti e visibilità” ottimizzando le performance. Obiettivo della startup quasi raggiunto:

  • le aziende possono promuoversi in maniera facile con i contenuti ottenendo grandi performance
  • gli editori hanno una possibile nuova linea di business sfruttando la visibilità e la capacità produttiva già in possesso
  • i content producer possono lavorare di più e con una remunerazione migliore rispetto alle piattaforme e alle soluzioni esistenti

Obiettivo QUASI raggiunto appunto, raggiunto in teoria e in parte in pratica. Ma non completamente.

L’azienda aveva bisogno di rifinanziamento e sviluppo commerciale. Nel tempo si sono avvicinati tanti interlocutori, alcuni molto concreti e altri molto vaghi. ma per un motivo o per un altro non si è riusciti a concludere nei tempi giusti l’operazione di rifinanziamento. E le cose hanno iniziato a precipitare.

L’unica soluzione era quella di chiudere l’azienda.

Tra parentesi: anche riguardo alla chiusura/liquidazione/fallimento/trasformazione di un’azienda in Italia potremmo scrivere chilometri di commenti, riflessioni, esperienze, leggi, pareri, etc. Si potrebbe scrivere tutto e il contrario di tutto e andrebbe bene lo stesso. Ma penso che di queste cose ne parlerò prossimamente in questo blog.

Alcuni insegnamenti:

  • alcune decisioni vanno prese subito anche se drastiche
  • l’esecuzione è fondamentale, banale ma è così
  • l’attività per cercare finanziamenti per una startup in Italia è essa stessa una startup
  • il fallimento è un modo per capire cosa NON si deve/può fare… e per imparare

La prossima fase sarà quella di recuperare tutto il buono che si è fatto in questi anni, riunire un po’ le forze e grazie a questa base ripartire con una nuova impresa, che si occupi in maniera specifica di content marketing e di contenuti digitali. In qualche modo siamo “arrivati troppo presto”, infatti solo ora si sta aprendo il mercato italiano del content marketing, ma dall’altra parte l’essere arrivati in anticipo ci permette di essere in questa fase pronti al mercato e molto competenti in materia.

L’azienda, dopo 8 anni di lavoro e dopo ancora un lungo periodo di burocrazia che l’aspetta, chiuderà e questo progetto tramonterà.

Ma sarà solo un tramonto a metà.

 

Content marketing e native advertising tra somiglianze e differenze

Il marketing digitale è cresciuto molto negli ultimi 15 anni. Il nostro ecosistema digitale continua ad evolversi, e anche le sue molte parti devono crescere di pari passo. È il caso del content marketing e del native advertising. Così simili, così diversi…

Non è raro che aziende e operatori di marketing utilizzino erroneamente le due parole in modo intercambiabile. Ma le due formule di diffusione di contenuti hanno significati e capacità molto diversi. Essere consapevoli delle differenze è di particolare importanza per capire come articolare un’efficace e funzionale strategia di internet marketing. Ecco alcune specificità dell’uno e dell’altro.

Native advertising
È qualcosa di cui ognuno di noi ha avuto esperienza, magari inconsapevolmente. Il native adv infatti ha come caratteristica principale quella di essere poco invasivo, il più possibile discreto, proprio per non ‘contrariare’ l’utente.
Gli annunci ‘nativi’ vengono posizionati all’interno di un sito web in modo da non interrompere l’esperienza del visualizzatore, ad esempio tra i paragrafi di un testo, e di solito

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Che cosa significa il nuovo algoritmo di Facebook per il digital marketing

Ha fatto molto discutere nel mondo del digital marketing il recente annuncio di Zuckerberg di un nuovo algoritmo di Facebook che privilegerà i post degli amici rispetto a quelli delle pagine di business e informazione. Appare evidente che si tratti di un passo deciso verso il pay-to-play, cioè non solo un modo di dare maggiore visibilità ai contenuti migliori, quelli più ‘sociali’ per intenderci, e che generano più interazioni, ma una strategia volta a forzare le pagine editoriali e dei brand a investire più denaro in cambio di maggiore visibilità.

Per gli utenti è probabilmente una buona cosa vedere gli aggiornamenti degli amici prima di tutto il resto. Il nuovo algoritmo di Facebook dunque non è da ritenersi universalmente negativo. Di certo pone un problema ai marketer e in generale a chiunque voglia continuare a promuovere il proprio business sul più grande e generalista dei social network. Che poi è anche quello che offre possibilità incredibili dal

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Il futuro prossimo dei contenuti: le performance prima di tutto

Creare una migliore esperienza per il cliente: su questo obiettivo complessivo dovrebbero essere focalizzati tutti i contenuti dei brand. E combinando SEO e content marketing, engagement, hyperlocal, ricerca vocale e machine learning, il risultato può essere raggiunto con maggiore facilità e velocità, oggi e ancor di più nei prossimi anni.
Adattandosi al modo in cui le persone ricercano e ‘consumano’ i contenuti, è più agevole anticipare le tendenze e fornire i contenuti di cui il pubblico ha bisogno, nel modo in cui ne ha bisogno, e arrivare prima della concorrenza.
Il content marketing da solo non basta più. I brand hanno bisogno di rientrare degli investimenti in tempi più rapidi. A confermarlo è un sondaggio tra 252 responsabili marketing di aziende presenti nella lista Fortune 500 (classifica delle maggiori società statunitensi), condotto da BrightEdge.

Ecco alcuni risultati chiave:
– il 71% dei marketer afferma che meno del 50% dei contenuti da loro proposti viene

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