I 4 principi che il content marketing può imparare dai musei

L’accoppiata musei e content marketing è un argomento che generalmente si affronta in modo piuttosto canonico: come i musei debbano avvalersi di una strategia di promozione digitale per migliorare la loro posizione sul mercato. E se invece fosse il content marketing, nella sua accezione più ampia, a dover apprendere qualcosa dal design museale?
Per affrontare questo cambio di prospettiva partiamo da un obiettivo comune ad entrambe le discipline: creare esperienze memorabili. Entrare in un sito o visitare un museo deve infatti lasciare un’impronta duratura sul visitatore. E le somiglianze non finiscono qui. Infatti musei e content marketing si propongono di conoscere e comunicare con il target, rispondendo ai suoi bisogni, espressi e inespressi.
Non è un caso, in quest’ottica, che marchi di notevole portata storica per il Paese, come Fiat o Piaggio, si siano attrezzati per allestire o finanziare dei brand museum, così da mettere in mostra la loro storia e il patrimonio aziendale in

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Le 5 lezioni del giornalismo al content marketing

Esistono punti di contatto tra content marketing e giornalismo? Oppure sono due mondi inconciliabili?

Queste domande nascono dal fatto che i giornalisti, o chi si occupa d’informazione, spesso guarda dall’alto in basso quanto accade nel mondo della comunicazione, specie in quella legata a finalità di marketing. Inoltre c’è una sorta di sospetto diffuso nei confronti di chi lavora allo stesso tempo come giornalista freelance e come creatore di contenuti per brand, come se questi due settori fossero separati da contraddizioni insanabili. Detto in poche parole: dal giornalista tout-court i copywriter sono visti alla stregua di automi aziendali che riciclano in serie gli stessi contenuti a suon di titoli click-bait.

Allora, forse, vale la pena capire in che modo la comunicazione, per non scadere nella banalità e nella ripetizione, possa imparare qualcosa dal giornalismo della vecchia scuola. Ho trovato (almeno) cinque lezioni. Vediamo insieme quali sono.
1. Esci dalla redazione!
Per anni a tanti aspiranti giornalisti è

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Innovative, ma non troppo: una startup italiana su tre non ha un sito internet

Il settore delle startup italiane cresce a ritmi sempre più incalzanti. L’economia dell’innovazione, secondo la fotografia emersa dalla Relazione annuale 2016 del Mise, è animata da quasi 7000 germogli di aziende, praticamente il doppio rispetto a soli due anni fa.

Ma alla narrazione – spesso epica – di idee vincenti, di duro lavoro, di scommesse che superano la prova dei mercati e di fatturati che crescono, si accompagna anche un racconto molto meno entusiasmante. Quello secondo cui molte, troppe startup innovative non hanno una finestra aperta sulla Rete. Un ossimoro quando si parla di digital business. Infatti, scorrendo tra le 6.300 e passa realtà iscritte al registro di Infocamere, sono ben 2.287 quelle che non hanno dichiarato alcun dominio online.

Come si spiega questo paradosso tutto italiano? Verosimilmente, alcune realtà al momento della registrazione erano così giovani da non avere un sito già operativo. Oppure molte PMI si sono camuffate da startup

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Come la realtà virtuale cambierà il content marketing

Realtà virtuale e content marketing, un binomio che nei prossimi anni potrebbe rivoluzionare la fruizione dei contenuti e rendere il cliente molto più di un semplice lettore, un vero e proprio co-regista.

Dapprima vennero i testi, poi le immagini, quindi i video. E’ l’evoluzione dei contenuti che non si ferma. Il nuovo (medium) che avanza e di cui si parlerà sempre di più nel prossimo futuro. La realtà virtuale ha tutte le carte in regola per affermarsi anche nel content marketing, perché garantisce quel che l’utente/cliente cerca: un coinvolgimento sempre più realistico e immersivo nei contenuti.

Una ricerca condotta da Goldman Sachs rivela che le tecnologie VR, per quanto di nicchia al momento, si diffonderanno molto rapidamente, sui livelli degli smartphone.

Le aspettative dei consumatori riguardo a questa tecnologia sono molto alte: secondo i dati Greenlight Insights, il 62% dei consumatori si sentirebbe maggiormente coinvolto da un marchio che sponsorizzasse un’esperienza in VR, mentre il 71% dei consumatori

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Exit e opportunità di innovare

E’ da un po’ di tempo che mi confronto con il tema delle “exit” in ambito startup. E’ un tema che, a mio modo di vedere, necessità di una serie di riflessioni. In particolare sul ruolo delle exit nel processo di innovazione delle aziende italiane.

In poco meno di 15 giorni ho ascoltato due interventi molto interessanti che in maniera differente trattavano il tema dell’innovazione

Parto dall’ultimo intervento, quello del Professor Franco Mosconi (docente di Economia Industriale all’Università di Parma) al Meeting Nazionale Federmanager Giovani. Trattando delle tema dell’innovazione nelle aziende italiane medio-grandi sostiene giustamente che le aziende devono compiere un processo diviso in due step:

  1. l’azienda si deve dotare di un management molto attento all’innovazione e all’industria 4.0 (anche se come dicono i dati, in Italia gli imprenditori hanno spesso “difficoltà” a dotarsi di un management a differenza di quello che succede ad esempio in Germania)
  2. l’azienda deve investire molto per spingere sulla formazione, sui processi, sulla ricerca e sviluppo in modo tale che l’innovazione arrivi dall’interno dell’azienda stessa

Il primo intervento invece è stato quello di Mario Mariani, ex AD di Tiscali e partner del fondo United Ventures (fondo che investe in startup ad alta scalabilità), al Convegno “Industry 4.0: Implication for Management” organizzato da AMMISA presso la Scuola Superiore Sant’Anna a Pisa. Parlando del tema delle startup e delle exit ha sostenuto quanto sia importante per una startup pensare ad una exit che non sia però necessariamente quella raccontata dallo storytelling della Silicon Valley, ad esempio una vendita miliardaria o una quotazione in borsa (anche perché la percentuale di casi di questo genere di exit è in diminuzione). A maggior ragione in un tessuto economico come quello italiano fatto per la maggior parte da aziende medie che hanno una forte necessità di innovare.

Moltissime startup creano innovazione, producono valore e generano talenti. Moltissime startup avrebbero bisogno di un partner industriale o di un investimento da parte di una media o grande azienda per supportare la crescita e permettere alla stessa startup di strutturarsi e continuare il processo di innovazione.

Ed è qua che le due tesi a mio modo di vedere si incontrano.

Va benissimo l’innovazione dall’interno dell’azienda ma penso che ci sia bisogno di un dialogo più frequente ed una relazione più stretta tra le aziende italiane e il mondo delle startup e dell’innovazione.

Questo richiede sicuramente la presenza di imprenditori e di manager molto attenti e aperti al confronto. Richiede in generale molta preparazione e competenza. Dall’altra parte ci vuole tanta attenzione nella selezione delle idee, dei progetti e dei team. E, nella fase di accompagnamento alla crescita della startup, si dovrebbe capire quali di queste realtà posso diventare una società quotata in borsa (rarissime) e quali di queste invece possono diventare parte di realtà più grosse portando valore umano, valore economico e valore in fatto di innovazione (tantissime).

Credo che questa possa essere una via per portare il mondo delle startup italiano verso un periodo nuovo e più felice. Un periodo fatto di concretezza e di creazione di valore.

Penso che allo stesso tempo questa via possa aiutare le piccole, medie e grandi aziende a fare innovazione, accompagnando il processo interno di ricerca e sviluppo.

Può essere un rapporto win-win grazie al quale tutti gli attori in gioco posso offrire valore e ottenere valore. Quindi perché non puntare convinti verso questa direzione?

Continuano gli apertivi ‘agile’ in Dao Campus: appuntamento al 15 febbraio

Il mercato non dorme mai. Ciò che oggi si considera un’eccellenza rischia di diventare “superata” in contesti in cui domina l’incertezza e la stanchezza per le formule passate. E’ successo a Blockbuster o Kodak e succede, a maggior ragione, anche alle realtà più piccole. E quando il mondo corre così veloce innovare non è un consiglio, è una necessità per tutti.
Alla base dell’innovazione c’è sempre una buona domanda o un dialogo stimolante. Questo vale tanto per il business quanto per l’attitudine di vita. Per mettere in discussione la tradizione e per spezzare l’adagio “abbiamo sempre fatto così” non servono gerarchie e burocrazie aziendali, ma a volte basta anche una chiacchierata con chi ha un know-how diverso dal nostro.
Agile ’n drink è un format che a Pisa ha già permesso a professionisti provenienti da vari settori d’incontrarsi attorno a un tavolo, in un contesto informale, per perseguire alcune metodologie di Agile e

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